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Attualità

PRINCIPIANTE

SERGIO REDAELLI - 05/02/2021

Emanuele Filiberto di Savoia con i genitori

Emanuele Filiberto di Savoia con i genitori

“Non ho parole”. Liliana Segre ha commentato con il silenzio la richiesta di perdono che Emanuele Filiberto di Savoia ha avanzato alla comunità ebraica italiana alla vigilia del 27 gennaio, Giorno della Memoria, per le leggi razziali approvate il 5 settembre 1938 dal bisnonno Vittorio Emanuele III. La superstite dell’Olocausto si è limitata a dire, d’accordo con l’Unione delle comunità ebraiche in Italia, che nessuno può concedere il perdono in nome e per conto degli ebrei discriminati, deportati e sterminati nei campi di prigionia. Tuttavia la lettera del giovane Savoia un pregio ce ha ed è quello di “fare memoria” su quanto accadde durante il fascismo.

Primo Levi scriveva: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate”. Dunque il messaggio di Emanuele Filiberto ha perlomeno un valore sociale, se non storico dopo tanti anni di ritardo. Ammettere di sentire “tutto il peso sulle spalle” della colpa dell’avo, definire le leggi razziali un “documento inaccettabile”, riconoscere “un’ombra indelebile” che grava sulla famiglia reale, confessare che la firma di Vittorio Emanuele III è una “ferita ancora aperta”, non sono parole gettate al vento. Perché, diceva Umberto Eco, “la mentalità fascista è eterna”.

Se Emanuele Filiberto ha fatto bene a chiedere perdono per l’ignavia del Re Sciaboletta, il giudizio su di lui resta sospeso tra opposte sensazioni. C’è un secondo fine nel suo modo di comportarsi? A che cosa mira realmente? Quarantotto anni, principe di Venezia e di Piemonte, il figlio di Vittorio Emanuele e di Marina Doria è un personaggio gioviale e simpatico, un bell’uomo di rappresentanza. Non ha meno fascino, tanto per dire, di William duca di Cambridge e di Harry duca di Sussex, principi d’Inghilterra. Ha una personalità versatile, presenza televisiva, carattere esuberante, la battuta pronta e tagliente ed è tenace nel perseguire i suoi obiettivi.

Ma l’impressione è che ogni gesto sia finalizzato alla speranza di restaurare un giorno la monarchia in Italia. Riallacciando il filo con l’ultimo degli avi coronati, nonno Umberto II, che dovette accontentarsi di pochi giorni di regno, dal 9 maggio al 2 giugno 1946, quando il referendum lo relegò a Cascais poi a Ginevra fino alla fine dei suoi giorni, nel 1983. La sensazione è che il suo rapporto con la Repubblica non sia affatto risolto, che sia anzi infastidito. Insomma che ci si adatti a denti stretti. Lo fanno pensare i suoi comportamenti, le uscite maldestre che tradiscono un diverso stato d’animo.

Qualcosa già si coglie nella lettera alla comunità ebraica. Il principe dice di voler fare i conti con il passato della Famiglia, con la effe maiuscola, “nel nome millenario di quella Casa Reale che orgogliosamente porto”. Una fierezza che i “sudditi” non possono proprio condividere pensando al re in fuga da Roma che abbandona la patria indifesa alla furia nazista. Poi ricorda le disgrazie occorse alle figlie di Vittorio, Mafalda morta a Buchenwald e Maria di Savoia deportata a Berlino con il marito e due figli. Per colpa di chi, se non del padre che avrebbe dovuto difenderle? Un riferimento familiare che poteva risparmiare ai 7500 ebrei italiani traditi dalla monarchia.

Dichiarazioni pubbliche a sproposito, prese di posizione discutibili, atteggiamenti snob incomprensibili. L’erede dei Savoia come considera davvero la democrazia italiana o meglio la repubblica delle banane, come la definì su Facebook? Non bene. Fin dalla sortita del 2001 quando, 29enne, rispose “I am ready” al New York Times che gli chiedeva se voleva diventare re: “Se il popolo italiano mi vuole, io sono pronto”. Ci credeva e probabilmente ci crede ancora. La cronaca registra scivoloni, gaffes, contraddizioni. Come il tweet partito dal suo account contro i partigiani parassiti: “Costano al contribuente tre milioni di euro con le loro 179 associazioni”.

Da ragazzo si spazientiva: “Si pretende che giuriamo fedeltà alla repubblica e che chiediamo scusa. Ma le pretese continuano a crescere. Ci chiederanno di andare sulla luna”. Scuse date, ridate. Un tiramolla. Ma il pensiero sulla democrazia italiana non cambia: “L’unica cosa che hanno saputo fare è stata riempirsi le tasche”. Il rimedio che il principe propone? La monarchia sarebbe un fattore di stabilità, un’istituzione unificatrice al di sopra della politica. Poi scatena la polemica nel 2017 sul rientro in Italia delle salme di Vittorio Emanuele III e della regina Elena. Che, secondo lui, devono essere sepolte al Pantheon a Roma, non nel santuario di Vicoforte.

Alle proteste della comunità ebraica e alla reazione dell’allora premier Gentiloni, che escludeva riabilitazioni e trasferimenti al Pantheon, il principe alzò i toni sfiorando l’insolenza. Dichiarò al Tempo di Roma di rifiutare il governo come interlocutore perché la decisione di far rientrare le regali spoglie era del presidente Mattarella e non di Palazzo Chigi. “Quello di Gentiloni è solo un parere – aggiunse con scarso rispetto istituzionale – io penso che tutti i re d’Italia e sottolineo tutti, dovrebbero essere sepolti al Pantheon. La titolarità di dare l’ok alla traslazione è del Vaticano e chiederò udienza. Con mille anni di storia alle spalle, possiamo aspettare”.

E millenaria è l’antica Legge Salica a cui Vittorio Emanuele e il figlio hanno annunciato l’addio per adeguarsi alla parità di genere. Dopo Emanuele Filiberto, in linea di successione ci sarà la figlia Vittoria, 17 anni, principessa di Carignano e marchesa d’Ivrea, mentre la sorella minore Luisa è principessa di Chieri e contessa di Salemi. In teoria Vittoria, figlia del principe del Piemonte e di Clotilde Courau, studentessa a Parigi, influencer e appassionata di moda, potrebbe essere un giorno regina d’Italia. Anche se perfino la consulta dei senatori del regno storce il naso: La legge salica – dice – è modificabile dalla corona solo nell’esercizio effettivo dei suoi poteri.

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