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Editoriale

SILENZIO

ROMITE AMBROSIANE - 17/03/2017

silenzioChi segue dall’esterno la vita del monastero del Sacro Monte facilmente assocerà alla parola “Quaresima” quella di “silenzio”; si limitano infatti allo stretto necessario le comunicazioni con l’esterno, si cerca di aumentare il tempo di solitudine e di silenzio.

Evidentemente si tratta di un esercizio difficilmente trasportabile fuori dalle mura del monastero (vi invitiamo allora a condividere con noi qualche spazio di silenzio nel nostro Centro di spiritualità), eppure il Papa – proprio lui così ricco di capacità comunicativa – nella lettera rivolta a tutti a conclusione del giubileo straordinario della misericordia, ha parlato della forza del silenzio. Il silenzio, infatti, può essere di grande aiuto quando abbiamo bisogno di consolazione. Possiamo allora tenere insieme “Quaresima”, “consolazione”, “silenzio”? Entriamo forse nel silenzio della Quaresima per domandare consolazione? Perché no? “Tutti abbiamo bisogno di consolazione perché nessuno è immune dalla sofferenza, dal dolore, dall’incomprensione” (Francesco, Misericordia et misera, 13). Entrando nel silenzio esteriore non si sperimenta il vuoto: quel silenzio è prontamente riempito da domande, attese, turbamenti, speranze… il silenzio – come luogo di solitudine – ci fa sperimentare nelle viscere il nostro bisogno di con-solazione, il nostro essere domanda in attesa di una risposta; e siamo tanto più “domanda” quanto più viviamo in profondità – anche nel silenzio – il legame vitale con tanti, con tutti… Il silenzio così non è fuga, è immersione nel cuore della realtà o, forse, ricerca di quel cuore che a tutto e a tutti può dar vita; è professione di povertà, di fragilità, di sofferenza, di ricerca… è anche penitenza ed ascesi nella forma del rifiuto di tutto quanto vuole artificiosamente ed inutilmente colmare le nostre mancanze. È lotta contro ogni tentazione, contro quanto insinua il sospetto, la sfiducia, la divisione (sfiducia, sospetto, giudizio rischiano infatti di dimorare comodamente nel nostro silenzio come astuti serpenti che vogliono far di noi il centro e la ragione della realtà: siamo noi i signori della nostra vita, noi e soltanto noi ne custodiamo la bellezza, il bene, la bontà…).

Ma cosa c’entra tutto questo con il silenzio di cui parla il Papa? Con il fatto che “spesso non ci sono parole per dare risposta agli interrogativi di chi soffre” (ibidem)? Il Papa suggerisce che “alla mancanza di parole può supplire la compassione di chi è presente, vicino, ama e tende la mano” (ibidem). Ed il cammino verso la Pasqua ci suggerisce la vicinanza di Dio: “mai Dio è lontano” (ibidem). E ci suggerisce fin dove arriva questa sua vicinanza quanto mai reale, quanto mai sofferta. La sofferenza domanda consolazione ed ecco, ci viene offerta una compassione che giunge fino al punto più lontano della sofferenza umana, fino alla solitudine della croce… se tutto sfugge e il mondo con la sua vita sembra abbandonarci, ancora non siamo soli, Qualcuno accanto a noi, patendo con noi, si ricorda di noi (cfr. Vangelo di Luca 23, 42)… Non c’è risposta a tanti drammi, neanche Dio sulla croce l’ha trovata. Il silenzio può essere l’unica parola fino a che, nel silenzio della morte, un nome risuonerà per chiamarci alla Vita, una Vita che il silenzio ci insegna a riconoscere non come possesso ma come promessa e dono. E se nel silenzio della nostra Quaresima tante piccole e grandi morti ci risuonano nel cuore, attendiamo con fiducia una voce che ci chiama alla pienezza di una nuova vita già qui, già ora.

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