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Società

STAMPA E POTERE

SERGIO REDAELLI - 05/10/2018

stampaTra risate e sfottò i recenti governi “rossi” in Italia lanciavano sondaggi tra gli iscritti a caccia del peggior titolo di giornale, i governi azzurri accusavano “la stampa pregiudizialmente schierata di distorcere la realtà” e ora arriva, buon ultimo, il nuovo governo che accusa i media di fare terrorismo. Imbeccato chissà da chi, il ministro Luigi Di Maio invita le società statali a tagliare le pubblicità sui giornali che remano contro, li incolpa d’inquinare il dibattito pubblico coi soldi della collettività, li taccia di fare propaganda per difendere gli interessi di qualcuno, li biasima affermando che al Paese serve un’informazione libera.

L’informazione libera, naturalmente, è quella che dà ragione a lui e siamo alle solite. Da che mondo è mondo chi sale al governo diventa il portatore unico della verità, l’estremo difensore degli interessi collettivi che curiosamente coincidono con la propria poltrona, l’ultimo baluardo della libertà contro la tv e la carta stampata. La storia insegna. Il potere non accetta le critiche, non le ha mai accettate. Per la semplice ragione che lo mettono in discussione. Mussolini faceva saltare i direttori per poter manipolare l’informazione, applicò la censura e il metodo delle veline per dare solo notizie gradite.

L’impressione è che non sia tutta farina del sacco del giovin ministro. Si avverte, nella buca del suggeritore, il bisbiglio del “capo” che in questa fase preferisce tenersi in disparte, pronto a intervenire in caso di bisogno. Il suo pensiero sulla libertà di stampa è noto, non ha esitato a comunicare pubblicamente la lista dei giornalisti che gli danno fastidio e Reporter Sans Frontieres lancia l’allarme. Nel nostro Paese restano “intimidazioni e minacce” contro i giornalisti e nel 2018 l’Italia è attestata nella poco onorevole 46a posizione nel ranking internazionale di centottanta Paesi.

Il controllo dell’informazione è la prima preoccupazione di chi detiene il potere. Nella Germania nazista i cronisti dovevano rispondere all’apparato statale e tutte le agenzie di stampa furono assorbite dall’unica consentita. A Parigi, prima del colpo di stato di Napoleone, si pubblicavano settanta giornali e poi si ridussero a quattro tra cui il Moniteur, fondato dal dittatore. Questa la consegna per gli altri tre: “Le informazioni devono essere prese esclusivamente dal Moniteur. Ogni notizia sfavorevole per la Francia va data in modo da indurre a sospettare che sia dettata dagli inglesi. I fogli parlino solo di eventi lieti per il governo”.

“Finché i cittadini non avranno dimenticato quello che apprendono dai giornali saranno maldisposti alla servitù”, teorizzava un anonimo censore a inizio ‘800. Anche l’evoluta Inghilterra visse tempi grami nel ‘700 con il Licensing Act teatrale ed escogitò originali metodi per limitare gli organi d’informazione, come disporre che fossero stampati su carta bollata fornita dallo Stato. John Milton, autore de Il Paradiso Perduto, arrivò a scrivere: “Reprimendo i giornali, voi deputati inglesi uccidete la ragione”. E negli Usa il New York Times accusa Trump di non volere la libertà di stampa ma la libertà di propaganda.

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