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Editoriale

VACANZE

ROMITE AMBROSIANE - 26/07/2019

in-camminoArriva l’estate, tempo di viaggi e di escursioni, ma al termine di questo anno pastorale in cui l’Arcivescovo ci ha proposto il pellegrinaggio come immagine della vita cristiana, permetteteci di proporvi qualcosa dell’itinerario tracciato dai Salmi delle ascensioni, sì, perché anche la Parola di Dio ci propone mete e cammini e ne tratteggia le tappe ed i gradini [provate a leggere, magari sotto un albero in montagna o sul lungomare i Salmi 119(120) – 133(134)]. Ecco: questi Salmi iniziano dalla terra dell’estraneità: Ahimé, io abito straniero in Mesec, / dimoro fra le tende di Kedar! / Troppo tempo ho abitato / con chi detesta la pace. / Io sono per la pace, ma essi, / appena parlo / sono per la guerra [Salmo 119(120), 5 – 7].

Per il Salmista all’inizio del cammino c’è un io isolato che vive come straniero percependo gli altri come ostili, come contrari ai suoi desideri di pace e menzogneri e per i quali vorrebbe che il Signore preparasse frecce acute con carboni di ginepro. Non è forse la condizione di chi si accinge a partire per le vacanze, ma forse proprio questo tempo di riposo e di svago può essere un antidoto o un inizio di cammino per uscire da quella situazione e condizione di isolamento e separazione che caratterizzano la vita dell’uomo di oggi.

Lasciamo la parola ad un filosofo: “Siamo convinti di esistere come un’entità a sé stante, individuata anzitutto dalla vulnerabilità, dall’abbandono, dalla sofferenza, dalla morte. Obbediamo a un’antropologia rovesciata, che ci inganna con un’immagine sbagliata di noi stessi, per cui diventa normale interiorizzare il sistema di separazione secondo cui ogni relazione è spezzata, posta entro un regime di distanza che rende irreale ed eccezionale la prossimità. Siamo esseri relazionali, ma le relazioni si rivelano cedevoli, effimere, problematiche” (R.Mancini). Partiamo dunque per le vacanze, come per l’inizio di un cammino di maggior prossimità, di scoperta dell’altro, di fiducia e gratuità. Anche il salmista ci dice che dall’angoscia e dalla solitudine ci si può mettere in cammino non perché possiamo fare il giro del mondo, ma perché ha scoperto un interlocutore premuroso ed attento: Al Signore nell’angoscia ho gridato [Salmo 119(120), 1 – questo l’ordine delle parole nell’ebraico, la prima parola del Salmo non è l’angoscia ma il Signore]. C’è un’altra possibilità all’isolamento, all’ostilità, alle relazioni spezzate. Per questo la condizione di estraneità non è il termine del cammino, non è la verità dell’esistenza, ma il punto di partenza del pellegrinaggio (e vi suggeriamo del tempo estivo). Se la nostra angoscia riconosce un interlocutore e compagni di viaggio possiamo riconoscere noi stessi non più come stranieri, come a tutti estranei, ma io pace, io per la pace [cfr. Salmo 119(120), 7], io in cammino verso la pace.

È così che quasi al termine del cammino dei Salmi delle ascensioni il Salmista canta:

 Canto delle salite. Di Davide.
Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!
È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste.
È come la rugiada dell’Ermon,
che scende sui monti di Sion.
Perché là il Signore manda la benedizione,
la vita per sempre.
[Sal 132 (133)]

Cosa è cambiato? Un cammino insieme verso una meta desiderata, verso la pace, verso Gerusalemme città della pace. Là il pellegrino è arrivato con fatica, salita dopo salita, spogliandosi di tante cose, sentendo a tratti ancora di più la fatica e la solitudine, valutando dove porre la propria fiducia, riconoscendo compagni di viaggio, la benedizione della vita famigliare e del lavoro, doni inaspettati, la gratuità della bellezza, la stabile presenza del Signore … e infine ha scoperto una bellezza che non è conquista, ma che scende come dono gratuito per chi si è scoperto capace di cammino, di uscire da sé, di andare incontro agli altri e all’Altro. Dunque buona estate e buon cammino!

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