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Chiesa

SUPERISPETTORE

SERGIO REDAELLI - 11/10/2019

Il palazzo al centro dell’indagine in Sloane Avenue a Londra

Il palazzo al centro dell’indagine in Sloane Avenue a Londra

Piovono calcinacci dal soffitto di S. Pietro durante la messa celebrata del papa accanto alla cappella della Pietà di Michelangelo. Attimi di paura fra i fedeli ma nessun ferito. L’incidente però sottolinea in senso figurato il periodo difficile che sta vivendo il Vaticano alle prese con il nuovo scandalo immobiliare denunciato dallo stesso pontefice. Al centro della vicenda un palazzo in Sloane Avenue 60, nel cuore del quartiere di Chelsea a Londra. Costruito nel 1911, dovrebbe valere sulla carta i 160 milioni di dollari sottoscritti dalla Segreteria di Stato con un fondo d’investimento lussemburghese.

Un’operazione maldestra che non ha dato i frutti sperati? A quanto pare la Santa Sede avrebbe deciso di uscire dal fondo lussemburghese con sospetti di perdite per le casse pontificie. Tanto da inquietare papa Francesco che ha affidato il compito di indagare al super-magistrato Giuseppe Pignatone, 70 anni, ex procuratore della Repubblica di Roma in pensione da maggio, nominato ad hoc presidente del Tribunale dello Stato Vaticano. Pignatone coordinò in passato le inchieste dell’Antimafia culminate con l’arresto del capo di Costa Nostra Bernardo Provenzano, ha indagato su Mafia Capitale e sulla sparizione di Emanuela Orlandi.

Un “controllore” qualificato per fare luce su una vicenda dai contorni ancora confusi, che al momento ha portato alla sospensione di cinque dipendenti della Santa Sede e al sequestro di pc e documenti nella Segreteria di Stato e all’Aif, l’autorità antiriciclaggio. Soprattutto è un segnale preciso della volontà del papa di rendere sempre più trasparente la gestione dei sacri palazzi, non da oggi coinvolti in scandali finanziari e immobiliari. L’affidamento dell’indagine a Pignatone segue infatti le drastiche misure adottate dal pontefice negli ultimi mesi. In agosto Francesco rinnovò l’Istituto per le Opere di Religione – lo Ior, noto anche come Banca Vaticana – approvando il nuovo Statuto per renderlo “più fedele alla missione originaria”.

Lo Ior trae la sua lontana origine dalla Commissione cardinalizia Ad Pias Causas costituita da Leone XIII nel 1887. Per volere di Pio XII assorbì nel 1941 l’Amministrazione per le Opere di Religione e fu ufficialmente istituito dallo stesso papa Pacelli, con personalità giuridica, nel 1942. Nel 1990 ci mise mano Giovanni Paolo II e arriviamo al nuovo statuto di papa Francesco. Fra le principali novità, l’esternalizzazione dei revisori, l’innalzamento da cinque a sette componenti del “board” laico di governo e le restrizioni nel rinnovo temporale degli incarichi amministrativi.

Il nuovo statuto istituisce in particolare la figura di un revisore esterno al Vaticano, persona fisica o società, per controllarne le attività al posto dei tre revisori interni di prima, la cui carica era sempre rinnovabile. Lo scopo dello Ior non cambia, il suo compito è provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili ed immobili affidati all’istituto e destinati ad opere di religione ei carità. Il nuovo revisore esterno deve esaminare i libri contabili, svolgere la revisione legale, esprimere il giudizio sul bilancio dell’Istituto, chiedere e ricevere dallo Ior ogni informazione utile all’attività di revisione.

È una prassi adottata per conformarsi agli standard internazionali, spiegano in Vaticano. Altra novità significativa è la definizione del ruolo del Prelato, figura chiave nel tenere contatti con i componenti dell’Istituto, promuovere la dimensione etica del loro operato e garantire la circolazione delle informazioni. Il prelato custodisce tra l’altro l’archivio della Commissione cardinalizia e la carica non può più rimanere vacante, come accadeva in passato. Insomma un giro di vite. E proprio lo Ior e il revisore avrebbero denunciato il caso delle operazioni immobiliari a Londra sotto indagine. A dimostrazione che le riforme degli organismi economico-finanziari sono ben avviate.

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