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Artemixia

LA VALIGIA DI FRIEDL

LUISA NEGRI - 28/01/2022

 

Dal 1943 al 1945 ben 15.000 bambini vissero parte della loro breve vita a Theresienstadt, il campo di concentramento di Terezin, nell’attuale Repubblica Ceca, anticamera per Auschwitz e Treblinka. Ne sopravvissero appena 1500.

Gli altri morirono, in quel ristretto spazio di mondo voluto dalla barbarie umana -o in altri simili luoghi di orrore, dove furono di nuovo deportati- sfiniti dagli stenti o soppressi nelle camere a gas. A fatica i pochi sopravvissuti hanno poi reso testimonianza, convinti, come la nostra Liliana Segre, che la memoria sia l’unico vaccino contro la perversione derivante dall’odio e dai pregiudizi basati sull’ ignoranza.

Terezin veniva fatto passare dalla propaganda nazista come luogo modello, dove si cantava, si ballava e si rallegravano i bambini. E dove i numerosi artisti e intellettuali presenti trascorrevano giornate serene svolgendo attività pedagogica per i giovani ospiti.

La verità è che a Terezin si incontrarono davvero diverse personalità del mondo culturale -musicisti, artisti, scrittori- con la innocenza soave dei bambini. Tutti, adulti e minori, erano vittime sequestrate dalla bieca macchina della furia razziale e politica. E i primi furono gli angeli preziosi che s’accompagnarono ai piccoli ospiti ‘raccattati’ dalla Gestapo, come fossero stracci, dai ghetti ebrei -per esempio da quello di Bialystok, tristemente noto- o dagli orfanotrofi o da tribù nomadi. O anche da famiglie in cui ci si era ribellati alla protervia di chi voleva solo dare ordini.

A Terezin l’intelligenza e creatività di animi eletti riuscirà a far nascere nel fango, nel dolore, nell’indigenza totale, luminosi lavori.

Si fecero in clandestinità giornali come il settimanale illustrato ‘Vedem!’, fondato nel 1942 e diretto dal giovane Petr Ginz: ospitava poesie, recensioni letterarie e dialoghi di adolescenti dai dodici ai quattordici anni. Usciva puntualmente, in una sola copia, ogni venerdì. Veniva letto per tutti a voce. Petr morirà nel ’44, appena sedicenne, dopo essere stato deportato ad Auschwitz.

Furono rappresentate anche opere musicali, tra cui il famoso Brundibar, di Krasa e Hoffmeister, nel 1938.

Molto apprezzato dai piccoli era soprattutto il disegno. Perché sostegno psicologico e pedagogico fondamentale, di fronte a una realtà che non poteva essere negata, e barlume di luce per tenera accesa la speranza. La testimonianza è data dai quadri che ospita il Museo Ebraico di Praga, salvati dalla insegnante Fidel Dicker-Brandeis (1898-1944), che li nascose in una valigia di cartone prima di “passare per il camino”.

Friedl non aveva voluto abbandonare i suoi allievi e aveva scelto di seguirli a Terezin. Le creazioni gentili, o crudamente veritiere, dei giovanissimi reclusi, che oggi tutti possiamo vedere, lasciano ancora spazio ai sogni e alla evidente voglia di usare carta e penna per raccontare se stessi.

Fu un fondamentale percorso pedagogico che, se non li preservò dalla morte e dalla vista di una realtà feroce, li salvò però dalla disperazione, mantenendo acceso, sul filo delle note e del colore, un refolo di attenzione alla vita.

A Terezin -ci interroghiamo oggi- l’arte, la cultura e l’intelligenza generosa di persone come Friedl hanno vinto sulla morte?

Certo è che quelle opere resistono al tempo, e la musica di Brundibar si sprigiona ancora, corre nell’aria, testimonia e racconta. E intanto ci consegna un avvertimento. Il filo spinato non è del tutto caduto, resiste e addirittura si rinsalda di fronte a nuove e tragiche realtà di esodi. E alti muri si alzano verso il cielo per chiudere la vista agli innocenti. Non dobbiamo smettere mai di raccontare, di ammonire i miopi sostenitori della diversità e della lontananza. Il bambino siriano Alan morto bocconi sulla spiaggia di fronte a Kos nel 2015 non è poi così diverso dagli innocenti di Terezin, e non lo sono i piccoli siriani e afghani, venduti come schiavi, o i minori sfruttati nelle miniere del Sud America, o i neonati dell’Africa perseguitati dagli Erodi locali, o i fanciulli delle grandi periferie urbane dominate dalla malavita. Raccontiamo di loro, parliamone, diamogli voce, dignità e pace. Ricordiamo con Madre Teresa di Calcutta che il diritto di ogni bambino è di avere “un luogo sicuro per giocare, un pane da mangiare, una scuola per apprendere”.

Nelle foto alcuni disegni dei bambini nel ghetto di Terezin conservati dall’insegnante Fidel Dicker-Brandeis e custoditi presso il Museo Ebraico di Praga

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