Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Politica

SOPRAVVIVERE IN EUROPA

EDOARDO ZIN - 01/07/2016

La casa di Schumann a Scy-Chazelles

La casa di Schumann a Scy-Chazelles

In una giornata eccezionalmente avvampata per questi luoghi, mi trovo con tre amici, Ghislain, Stefan e Gabriel, a sorseggiare un fresco bicchiere di succo di mele. Seduti attorno a un tavolino nel giardino della dimora abitata dal padre fondatore dell’Europa, Robert Schuman, ora trasformata in museo, a Scy-Chazelles, nella Mosella.

La notizia ci è stata data stamattina ed ora commentiamo i risultati del referendum britannico. Ho passato un itinerario di giorni in questa terra visitando i luoghi cari a Robert Schuman, spulciando le sue carte estremamente ben catalogate con solerzia dal conservatore della casa-museo, leggendole, commentandole, facendone fotocopie e partecipando a dibattiti sul futuro dell’Europa.

“Stanotte i falò accesi sulle colline circostanti per San Giovanni, anziché bruciare le streghe, hanno dato fuoco all’Unione Europea!”, ci saluta il mosellano Ghislain. “Purtroppo, è vero – gli risponde Stefan, giovane docente universitario di storia delle istituzioni europee – hanno dato alle fiamme “questa” Unione Europea, così lontana dalla gente comune, tradita dall’omologazione selvaggia degli eurocrati, il cui spirito è stato smorzato dai governi nazionali. Ma non si è spento il nostro impegno per unire l’Europa”.

Gabriel rincara la dose: È tutta colpa dell’euro, che ha imposto rigore, ha creato disoccupazione, competitività, le cui esigenze sono di ordine strutturale, non monetario. L’ho insegnato ai miei giovani: l’euro causerà tagli allo stato sociale, delusione, eccessiva richiesta di austerità da parte dei paesi forti. Senza contare che lotta al terrorismo e gestione dei flussi migratori innescheranno miopi populismi”.

“E tu che ne pensi?”, chiede l’amico rivolgendosi a me.

Faccio fatica a raccogliere in me stesso i tanti pensieri che mi avviluppano la testa, riordinarli, dare loro una priorità. Tento di biascicare una risposta:

“Voi sapete che sono stato scettico nei riguardi dell’ingresso del Regno Unito fin dal 1970. E ciò per ragioni psicologiche, storiche e culturali. Notavo nei colleghi inglesi la percezione che l’Europa volesse dire per loro rinnegare un passato nazionale di gloria e di potenza. Il Regno Unito è insulare, isolato e contemporaneamente cosmopolita: rispetta le diversità, ma non si arricchisce delle altrui culture. È multiculturale, ma non “interculturale”. Il britannico è tradizionalista, diffidente verso tutto ciò che non è “british”. Ha pregiudizi verso i testi precisi e rigidi: è impensabile per un politico britannico conceda sovranità a un organismo sovranazionale perché si sente prigioniero nei testi legislativi precisi che non possono dare adito a interpretazioni variabili”.

Ghislain manifesta il suo disaccordo con Gabriel: “I britannici, votando l’uscita dall’UE, non hanno pensato alle conseguenze nefaste che il loro voto avrà sul secondo mercato finanziario mondiale. Le banche d’affari si sposteranno in paesi UE, la sterlina sarà svalutata, la politica doganale, già favorevole al Regno Unito, dovrà essere rivista al rialzo, aumenterà la disoccupazione: Non sono motivi economici che hanno spinto verso il divorzio con l’Europa. La crisi economica verrà dopo, quando il governo sarà obbligato ad aumentare le imposte. Ammutolisco nel pensare che nostri amici britannici diverranno “extra-comunitari!…”

“Lo credo anch’io – intervengo – lo “splendido isolamento” britannico si è trasformato, in economia, in uno sfrenato individualismo ultra-liberale che ha risvegliato benessere e desiderio di miglioramento nel ceto medio un po’ imbolsito, ma che ha aumentato le disuguaglianze, che sono divenute ancora più profonde, nei ceti sociali più poveri. Cameron l’aveva capito da tempo e ha tentato di addossare le colpe all’Europa e ciò ha creato maggiori risentimenti verso ciò che loro chiamano “Bruxelles”. Da qui è nato un forte euroscetticismo cavalcato dai nemici del premier che hanno condotto una campagna referendaria fondata su menzogne foriere di un consumismo senza risparmio e di un potere pubblico senza tasse”.

“I laburisti erano ossessionati dall’ “idraulico polacco” e hanno trascurato gli aspetti sociali, umani e educativi della costruzione europea. I conservatori si sono limitati a “chiedere”, ma non hanno “dato” e, da buoni pragmatici, si sono disinteressati delle emozioni e hanno puntato eccessivamente a dar libero corso a forze intransigenti”, riprende Gabriel.

Non posso dargli torto e io ritorno sulla mancanza dello spirito europeo delle origini che non è stato custodito e sviluppato. In Gran Bretagna sono rari gli intellettuali che potevano influenzare positivamente la presenza britannica in Europa: solo lo storico Cristopher Dawson prospetta un’Europa federale e il poeta T.S. Eliot vede nella cultura cristiana un momento unificante. Il modello d’educazione inglese e gallese è improntato, poi, ad un alto grado di pragmatismo: l’importante non è “sapere”, ma “fare”. La chiesa anglicana, che vive, come tutte le chiese europee, momenti di sconcerto, è molto istituzionalizzata, poco profetica, nonostante la presenza di pastori molto illuminati.

“E ora che succederà?”, domando io. “È difficile dirlo. A breve termine tenteranno di temporeggiare. Cercheranno di applicare i trattati in vigore prima del 1973. Vedo una disgregazione all’interno dei due maggiori partiti politici. Probabilmente, Scozia e Irlanda del Nord chiederanno la secessione dal Regno Unito. Ciò potrebbe rappresentare il primo nucleo di un’Europa delle regioni, rigenerate dall’Unione Europea e sarebbe la vera fine degli stati-nazione”, risponde Stefan.

“Sarebbero opportuni degli “atti forti” sia da parte della Commissione sia da parte dei governi. Per combattere il deficit democratico, i paesi potrebbero chiedere delle riforme strutturali della governance europea, colmare il deficit di comunicazione per dire ciò che si farà tutti assieme e fare ciò che si deciderà di fare tutti assieme. Le istituzioni, che hanno mancato di prevedere la complessità delle società, dovrebbero instaurare una politica di austerità risparmiando sulle spese di due sedi del Parlamento – destinando l’edificio di Strasburgo a Università Europea – riducendo dalle attuali ventiquattro lingue a tre le traduzioni di tutti i documenti, chiudendo le numerose rappresentanze diplomatiche all’estero, in attesa di una vera comune politica estera. Il consiglio europeo deve garantire l’interesse comune europeo sull’interesse nazionale e dedicarsi a sviluppare una politica per la crescita, per l’emigrazione, per la sicurezza ed estera comuni. In poche parole: la globalizzazione richiede maggiore coesione per colmare le molte sofferenze e le poche speranze. I paesi poco virtuosi devono badare di più alla riduzione del deficit e dare priorità alla crescita piuttosto che aumentare la spesa. So che non dico niente di nuovo”. “Abbiamo bisogno di leader responsabili, umili, giusti!”, continuo io.

“Concordo con te. Chi vagheggia un ritorno agli stati nazionali è contro la storia e ha la vista offuscata o dalla nostalgia o dalla paura. Qualora il processo di unione dovesse arrestarsi, gli europei andrebbero incontro a un futuro ben fosco. Ma dobbiamo andare: l’aereo ti attende…”

Esco dalla dimora di Schuman. Sul largo che si apre davanti ad essa, le statue in bronzo ad altezza d’uomo di Adenauer, De Gasperi, Schuman mi ricordano che per loro l’Europa era un progetto e non un territorio, un’entità politica e non geografica, un ideale, un sogno.

Entro nella vicina cappella del XIII secolo che ospita le spoglie di Schuman. Mi raccolgo un attimo. Sull’uscio, Ghislain mi presenta un abitante del luogo. Mi racconta che suo nonno morì nella battaglia di Verdun giusto cento anni fa e ora riposa nell’ossario di Doumont, che suo padre partecipò alla battaglia delle Ardenne. Quando lui nacque, il papà lo chiamò Robert, come il suo famoso concittadino. Il nonno era di nazionalità francese, il padre fu reclutato nell’armata tedesca “e io – aggiunge compiaciuto – sono europeo perché sono francese e sono francese perché sono mosellano”. Finché ci saranno uomini come Robert, l’Europa sopravviverà.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login