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Attualità

CAMMINARE NELLA STORIA

EDOARDO ZIN - 31/03/2017

Robert Schuman

Robert Schuman

“Sei rattristato perché Francesco non ha citato il “tuo” Schuman durante il suo discorso?” – mi chiede un amico francese con cui ho assistito attraverso un grande schermo, in una sala assediata da giornalisti di tutto il mondo, all’udienza di Papa Francesco concessa ai capi di Stato e di governo dei ventisette paesi dell’Unione Europea, alla vigilia della cerimonia commemorativa dei sessanta anni della firma dei Trattati di Roma.

Mi sottraggo abilmente alla sua domanda e attiro la sua attenzione sul fatto che i padri fondatori citati dal Papa erano coloro che avevano firmato i Trattati sessanta anni fa. Nel 1957 della famosa triade Adenauer – De Gasperi – Schuman, solo il cancelliere tedesco era presente alla firma dei trattati della C.E.E. e della C.E.E.A. in Campidoglio: De Gasperi era scomparso tre anni prima con lo strazio nel cuore per non essere riuscito a portare a termine la Comunità Europea di Difesa, Schuman aveva lasciato il governo, dove era ministro della giustizia, nel 1956 ed aveva appoggiato la nomina agli affari esteri del socialista Christian Pineau: lo spronava alla firma e alla ratifica del progetto di Roma come un progresso molto importante e decisivo per la realizzazione della comunità politica europea.

L’amico giornalista, celiando, mi dice di avermi portato con sé come “conseiller historique”. Non desiste e insiste:” Ma il Papa ha citato due volte De Gasperi!”. Gli replico invitandolo ad aprire le orecchie per ascoltare piuttosto che a leggere il testo con i rimandi bibliografici distribuito dalla sala stampa: è vero, Francesco ha riportato dei passi significativi di un discorso pronunciato dallo statista italiano nel 1954 all’Assemblea Parlamentare Europea, ma senza pronunciare il suo nome. Ha preferito citare nell’ordine Spaak (due volte), Luns, Bech (due volte), Adenauer e Pineau, tralasciando il nostro Gaetano Martino. Continuo: “Ma perché ti soffermi su questi insignificanti dettagli storici distogliendo il significato del forte messaggio di Francesco all’Europa?”. Scendendo le scale per uscire dalla sala, l’amico mi invita a continuare il discorso attorno ad una tazzina di caffè.

“Ma, insomma, chi sono questi padri fondatori? Io conosco solo Pineau, ministro degli Affari Esteri del governo che aprì le porte all’avvento del generale de Gaulle nel 1958, dando inizio alla V° Repubblica”.- continua imperterrito. Accetto molto volentieri l’invito, anche perché la richiesta dell’amico mi dà modo di chiarire come la costruzione dell’Europa unita non sia stata solo opera di politici che ispirarono la loro opera alla consapevolezza che all’origine della civiltà europea si trovi solo il cristianesimo, bensì anche di laici, talvolta agnostici, ma dotati di una profonda passione politica e di spirito di servizio.

Robert Schuman, fervente cattolico, testimone di una fede autentica che esprimeva nella carità verso i più poveri, collaborò con il laico Jean Monnet: ciò nonostante portarono a termine assieme la dichiarazione del 9 maggio 1950, che gli storici considerano la data d’inizio del processo di unificazione europea. All’epoca della creazione del Consiglio d’Europa (5 maggio 1949) funzionò il tandem Schuman con il socialista Spaak. Monnet e Spaak non erano praticanti, ma ciò non impedì a loro di rispettare i valori umani che, come ha detto papa Francesco, hanno radici cristiane. De Gasperi e Arturo Spinelli erano federalisti convinti, pur provenendo da culture opposte. La spiritualità cristiana ispirò non solo Adenauer, De Gasperi e Schuman ma anche il lussemburghese Joseph Belche, che riuscì a conciliare le esigenze comuni della C.E.C.A. con la diplomazia del grande capitale siderurgico del suo paese. Anche il cattolico olandese Joseph Luns collaborò, prima del 1957, con il protestante e grande uomo d’affari Beyen.

I padri fondatori erano diversi anche per gli studi compiuti. Quasi tutti avevano una formazione giuridica: faceva eccezione De Gasperi che era piuttosto uomo di lettere, Belche che era economista; non mancavano gli autodidatta come Monnet (non si sa neppure se completò gli studi secondari!) e Spinelli. Diversi erano anche per le letture: Schuman si interessò di storia, di filosofia e di teologia, oltre che essere bibliofilo; tra i cattolici c’era chi si riferiva a Maritain e chi a Mounier, ma tutti erano realisti, pragmatici.

Tutti erano bilingui (salvo il belga Spaak!) e uomini di frontiera. Tutti, chi più e chi meno e secondo modalità diverse, furono antinazisti (lo stesso Adenauer fu ricercato dai nazisti, ma si salvò perché trovò rifugio nell’abbazia di Maria-Laach e fu nominato cancelliere all’età di 73 anni!). Tutti, ad eccezione di Monnet, erano impegnati in partiti: o cattolici (Adenauer, De Gasperi, Schuman, Belche, Luns) o liberali (il nostro Martino) o socialisti (Spaak, Pineau), o comunisti (Spinelli), ma la loro adesione al progetto europeo non avvenne nello sesso modo: Spinelli creò il Movimento Federalista Europeo nel 1943, i cattolici parteciparono alle nuove équipes internazionali subito dopo la guerra, Spaak, internato in Germania, diventò europeista attraverso il movimento pacifista.

Papa Francesco, citando alcuni firmatari dei Trattati di Roma, ha voluto forse mettere in evidenza come la collaborazione tra uomini di fede e non credenti sia alla base della costruzione della comune casa europea che si fonda su cinque pilastri: centralità dell’uomo, solidarietà fattiva, apertura al mondo, perseguimento della pace e dello sviluppo, apertura dal futuro.

E citando i padri fondatori ha voluto – come egli ha affermato all’inizio del suo discorso molto seguito – intrecciare passato e futuro, memoria e oblio per liberare del passato ciò che non è stato fatto e ricordare le promesse non mantenute. Oggi usiamo la storia dell’immediato e assistiamo all’estendersi di sentimenti, atteggiamenti, legislazioni nazionalistiche presso popoli che hanno dimenticato il passato prossimo e con esso il ricordo delle loro sofferenze che li rende ciechi e insensibili a quelle degli altri su cui riversano la loro sete di rivalsa. A difendere la loro miopia invocano la salvaguardia della loro identità, della loro storia, delle loro tradizioni dietro cui nascondono, in verità, i loro particolarismi e i loro interessi elettorali.

Accanto alla memoria, Francesco ha invitato a camminare nella storia con speranza per combattere la disperazione, la paura, l’odio e per ritrovare dietro alla civiltà del consumismo l’anima smarrita dell’Europa. Ha detto il patriarca Hilarion:” L’Europa passerà attraverso un’ “ubriacatura” di libertà, di permissivismo, che farà capire alla gente dove porta tutto questo e l’indurrà a tornare a salvare l’uomo.” La Chiesa dai credenti non aspetta che cosa essa debba fare, ma che dimostrino con le loro opere la via da riprendere.

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