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Attualità

LA GRANDE GIOIA

EDOARDO ZIN - 22/12/2017

Il luogo della Natività, a Betlemme

Il luogo della Natività, a Betlemme

La mia maestra di quinta elementare – la signorina Maria Luisa Neri (noi anziani ci ricordiamo il nome della maestra con cui abbiamo spartito il tempo della nostra fanciullezza!) – mi aveva insegnato una regola: astratto è il nome delle cose che non si vedono e concreto il nome delle cose che si vedono. In prima media, nello svolgere in classe l’analisi grammaticale di una frase, mi trovai in imbarazzo davanti al sostantivo “Dio”. È concreto o astratto? Ci pensai un po’ e poi scrissi “concreto”: senza saperlo avevo optato per il Dio vivente e non per il dio dei filosofi!

Questa è la novità del Natale: ricordare che Dio si è fatto uomo. Un uomo concreto come me, come noi. È nato in una determinata data: sotto l’impero di Cesare Augusto, quando Quirino era governatore della Siria. Fino ad allora il tempo era registrato sul meridiano di Roma e col suo calendario. Con la nascita dell’Uomo, il tempo troverà un nuovo meridiano: con la sua nascita gli anni si conteranno da lui, che taglia in due la storia.

Nasce in un villaggio di nome Betlemme, dove mille anni prima era nato il re Davide. Rinarrare quel fatto storico è come abbandonarci all’incanto di un racconto. Maria, la mamma, viene colta dalle doglie del parto, trova posto in una grotta, una greppia diventa la culla di Dio fattosi uomo. Lì vicino vegliano i pastori che vigilano i loro greggi. Un angelo, abbacinando tutta la campagna, appare a loro:” Vi annuncio una grande gioia. In Betlemme è nato il Salvatore.” Attoniti, i pastori rispondono immediatamente: “Andiamo a Betlemme!”. Alla grotta trovano angeli che cantano: ”Gloria a Dio nel più alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. La realtà è così bella che sembra una favola, una leggenda, un mito.

È notte. Dio si fa uomo per il più imponente riscatto dell’umanità al buio perché il mondo era immerso nell’oscurità del male. Gli uomini lo attendevano perché hanno bisogno di lui e lui venne a trovarli; anche oggi non siamo noi che andiamo a lui. Qui è il Mistero. Dio ci è necessario per rialzarci dopo la continua esperienza di cadute, di fallimenti, dopo i giorni avviliti vissuti nella tristezza perché il cuore non si apre agli altri, dopo le tentazioni di affermare solo il nostro “io”, quando ci si lascia abbattere.

“Vi annuncio una grande gioia”. L’abbiamo provata tutti, chi più, chi meno, la gioia determinata dalla scoperta di essere soddisfatti: l’attesa di una nascita, l’arrivo di una persona cara, per la presenza di un amico, per il ricordo di un viaggio… La gioia si trasforma in gratitudine verso chi ce l’ha procurata, diventa sorriso per chi incontriamo e speranza che ci consente di risollevarci negli inevitabili momenti di tristezza e di camminare sulla strada della vita, di essere uomini. La gioia del Natale è però ineguagliabile perché Cielo e Terra sono divenuti una sola cosa.

“Ecco che cantano degli Angeli:
il silenzio nasce da molte cose,
e la luce delle stelle si tesse in corde,
e le forze di Pace ne traggon dolci accordi.”

(Ezra Pound)

***

“Andiamo a Betlemme”. Le parole dei pastori restano ancora attuali, un invito pressante, un orientamento per tutti. Etimologicamente Betlemme significa “la casa del pane”. Mi piace pensare che, al richiamo delle campane, la notte santa, milioni di uomini in tutto il pianeta lasceranno le loro calde stanze per recarsi nelle chiesine di montagna, tra bioccoli larghi e asciutti, o per riempire le immense cattedrali in cui le note dell’organo tessono secolari inni natalizi o affolleranno le moderne chiese di periferia per andare alla “casa del pane”, dove l’Eucarestia viene celebrata per ricordare la nascita di Dio fattosi uomo e dove si incontreranno per condividere il pane celeste che li cementa nel vincolo della carità, della bontà, dell’incontro amichevole. È da questo incontro con Lui che deriva lo spirito di “buon vicinato” di cui ha parlato il nostro Arcivescovo.

“Non c’è luogo del mondo
Dove abiterei più contento.
Portami via dai rischi e dalle cadute,
Dammi casa a Betlemme…”

(J. Jorgensen)

***

“Gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà”. Se renderemo gloria a Dio, allora la pace ci sarà sulla terra. Nelle chiese francesi si preferisce dire: “e pace agli uomini ch’Egli ama”. Gli uomini sono l’oggetto della bontà, della misericordia di Dio e la pace è l’aspirazione dell’anima umana, un sospiro dell’umanità. Ma dov’ è la pace oggi se perfino Betlemme è oggetto di conflitti e contesa, lacerata da alte mura di confine? Dio si fa uomo nel periodo della pace romana che regnava nel mondo in quel momento. Era la tregua delle armi. Ad essa è succeduta la pace cristiana, frutto di buon volere e di opere buone, ma l’odio e l’acrimonia hanno costellato la storia dell’umanità ad opera di uomini di non buona volontà. Sono venti secoli che li uomini si scannano. Cento anni fa sul Pasubio. Settantatre anni fa sulle Ardenne.

 Anche oggi ci sono Erodi spietati che non desiderano la pace, ma la spada, il potere, la gloria, il danaro o il petrolio. Non comprendono che la condizione prima della pace è che tutti cerchino la gloria di Dio. Questa è la meravigliosa sintesi della dottrina sociale della Chiesa. La pace del Natale non è la pace delle nostre buone tradizioni: il presepio, il panettone e lo spumante, i mercatini, i concerti e le cene, ma la pace che nessuno ha il diritto di estirpare perché nessuno – nemmeno coloro che chiamiamo potenti – può impedire ad ogni uomo di buona volontà che volge lo sguardo al Cielo e ama il suo Dio e i suoi fratelli anche in situazioni estreme.

“Signore, avete elargito al mondo diviso la neve della vostra pace all’Europa
divisa,
alla Spagna squartata,
e il ribelle ebreo e cattolico ha sparato i suoi millequattrocento cannoni contro
la montagna della vostra pace.
Il mio cuore, Signore, si è sciolto come neve sui tetti di Parigi
al sole della vostra tenerezza
e tenero si è fatto ai miei nemici.

(Leopold Sedar Senghor)

Tre poeti di credenze diverse (uno agnostico, un convertito della chiesa riformata, un cattolico), di provenienze geografiche diverse (uno statunitense, un danese e un senegalese), di culture politiche diverse (un simpatizzante nazi-fascista, un liberal-democratico, un socialista) ci hanno accompagnato a capire, in questi giorni spesso così antinatalizi, la “grande gioia” annunziata dagli angeli ai pastori e destinata a tutti. Tutti e tre hanno sentito la presenza del Mistero. Che cosa portiamo noi di vivo, di autentico, di fede in questo Natale?

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