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Attualità

QUALCHE FATTO

EDOARDO ZIN - 11/05/2018

elezioniAttendevo Maggio con le rose in fiore e i tramonti inclini alla dolcezza ed invece piove senza costrutto, smette, ricomincia. Con Maggio attendevo il nuovo governo ed invece sono ancora qui a ragionare di fatti che mi stanno molto a cuore, ma che sono oscurati dalle striature grigie del groviglio di parole pronunciate da professionisti gretti della politica che anticipano una stagione scura come il cielo d’oggi stinto dai piovaschi.

Dopo una campagna elettorale snaturata, sfigurata, urlata nelle piazze e negli studi televisivi, divenuti un’arena, mi trovo a che fare ora con dichiarazioni che si contraddicono, che distorcono il significato degli eventi, presentano fatti immaginati e dichiarati veri, da incontri segreti, da proposte politiche lanciate con un twitter, da dibattiti dove domina se non la virulenza dell’urlo, la parolaccia volgare.

Penso ad Aristotele che definiva la parola ciò che fa di noi degli esseri umani, ma penso anche a Cartesio che ci ha insegnato a ragionare razionalmente, ad un filosofo francese d’oggi che vede nella parola il legame che lega l’uno all’altro.

In questa fase della nostra democrazia non sono le parole che si blaterano, ma i fatti che contano. Sono I fatti incontrovertibili e i numeri che contano: non c’è bisogno di liste di proscrizione, di dispute interminabili, di attese miracoliste provenienti da votazioni che nulla hanno a che fare con quelle già avvenute, di fantasiosi retroscena. No, ogni qual volta che sono in gioco la democrazia e i valori a essa correlati, ogni volta che il popolo sovrano ha deciso la sua opzione, ogni parola diviene politica perché la parola costruisce la democrazia che è anzitutto dialogo. Dopo i seduttori della parola e i giocolieri della menzogna, parlano i fatti.

Primo fatto. Gli italiani hanno votato e dobbiamo prendere atto della volontà che ciascuno ha espresso col suo voto. I risultati elettorali hanno dimostrato che c’è un profondo desiderio di cambiamento. I tatticismi non possono uccidere questo bisogno.

Secondo fatto. Il risultato elettorale ha indicato vincente una coalizione di partiti che non raggiunge però il 37% dei suffragi e in cui un partito da solo raggiunge il 17.37% superando così il numero dei voti di quello che esprime il leader di questa coalizione. Un partito, da solo, raggiunge il 32.68% ed un terzo il 22.85. Ciò dimostra che i partiti che hanno fortemente propagandato il cambiamento hanno vinto, ma non hanno la maggioranza per governare. Il terzo partito ha subito una forte sconfitta perché ha perso il 7% dei suffragi rispetto alle precedenti elezioni politiche, pari a 2.600.000 voti.

Terzo fatto. Non avendo alcun partito raggiunto la maggioranza, è inevitabile ricercare l’appoggio di altri partiti per avere in Parlamento una maggioranza che sostenga un esecutivo.

Quarto fatto. I sondaggisti esperti di flussi elettorali sono concordi nell’affermare che l’esito delle ultime elezioni politiche è il risultato di una mobilità elettorale crescente e storicamente senza precedenti.

Fin qui i fatti. Ed ora le considerazioni frutto non di elucubrazioni da politologi, ma di riflessioni su questi fatti, oltre che di buon senso.

La nuova legge elettorale di fatto è una legge proporzionale, cosa che si voleva evitare, è pessima così come tutti i maggiori esperti da tempo pronosticavano. L’Italia è ingovernabile, a meno che nei prossimi giorni la perspicacia e la pazienza del presidente Mattarella non trovino una soluzione che superi i blocchi contrapposti, i veti incrociati e il Capo dello Stato riesca a mettere d’accordo ciò che ora sembra inconciliabile.

Il capo della Lega ha strappato al leader della coalizione di destra la leadership e si può presagire che questa formazione sostituirà la politica liberale (chiamiamola così!) con una più autoritaria che combatta l’immigrazione, che abroghi la legge di riforma sulle pensioni, che instauri la flat tax con conseguenze di gravi danni sul bilancio dello stato e relativi richiami da parte dell’Europa perché l’Italia non potrà, in questo frangente, rispettare i vincoli di mandato stabiliti dai trattati internazionali.

I pentastellati, col loro leader, hanno dimostrato di non conoscere il minimo delle regole parlamentari presentando, ancor prima delle elezioni, il loro governo, pretendendo di eleggere il loro leader come capo del prossimo governo e incaricando il prof. Giacinto Della Cananea di fare un esame comparativo tra il loro programma e quello dei partiti avversari per trovare un punto d’equilibrio tra il loro e quello degli altri partiti, impostando così la “politica dei due forni”: dapprima amoreggiando con il PD, successivamente civettando con la Lega, dimostrando in tal modo di non avere una loro “cultura” politica e una chiara visione del loro programma da svolgere.

Ma hanno raggiunto l’apice della loro incultura costituzionale stabilendo che i loro deputati non potranno assolvere più di due mandati parlamentari rischiando, in caso di elezioni anticipate, di vedere dimezzato il loro gruppo parlamentare. Si aggiunga a questo che i 5 stelle non hanno la struttura di un partito e che il loro modo di scegliere i candidati attraverso la rete può diventare motivo di intrichi interni e di deterioramento della democrazia rappresentativa come è la nostra.

Il PD ha perso e il suo due volte dimissionario segretario ha dichiarato subito:” Andiamo all’opposizione”: questa affermazione può essere valida in un sistema maggioritario, ma non in uno proporzionale. Nella storia repubblicana anche le minoranze hanno governato o aderendo ad un governo di coalizione o con l’appoggio esterno o -addirittura- in un governo di minoranza. È mancata nel PD un serio esame dei motivi dell’infausto risultato. Esso negli ultimi anni ha subito continue batoste, ma non ha fatto un esame, una revisione della sua politica. Personalmente – ma questo non è un fatto, bensì una riflessione critica peraltro condivisa da molti – penso che il PD pur di avere successo si sia rivolto a categorie sociali e culturali nuove, ma così facendo i suoi sostenitori tradizionali si sono sentiti traditi. Soprattutto giovani e disoccupati lo hanno abbandonato.

La minoranza del PD, che chiedeva un confronto con il 5 stelle per aderire non ad una maggioranza, ma per confrontarsi sulle proposte dei pentastellati, è stata bloccata da un avventato intervento del due volte dimissionario segretario durante una trasmissione televisiva avvenuta all’improvviso prima della riunione della direzione del partito. Ciò ha suscitato le ire del segretario reggente, della minoranza, le accuse di “inciucio” da parte dei 5 stelle, oltre che la disapprovazione di molti elettori per lo sgarbo istituzionale incrementato dal silenzio in direzione tenuto dal segretario dimissionario. Ma, si sa, l’uomo è quello che è: davanti alla marea di voti che chiedono un rinnovamento del “far politica”, egli preferisce assicurarsi l’unanimismo di una direzione che non ha votato nel segreto dell’urna, ma per alzata di mano.

Che cosa succederà? Al momento in cui scriviamo non lo sappiamo. Siamo, al contrario, profondamente convinti che le difficoltà si supereranno se con serietà coraggiosa tutti – eletti ed elettori – sapremo interpretare il voto del 4 marzo come un grande bisogno di rinnovamento. Questo desiderio, che ora è affievolito e stinto come i piovaschi di questi giorni, non si spegnerà, anzi potrà prorompere ad un tratto come una luce solare e diventare passione a patto che le persone non siano sbiadite, i programmi chiari e la volontà di fare il bene di tutti diventi un imperativo categorico.

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