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Politica

COESI

EDOARDO ZIN - 30/04/2020

unione-europea“Chi ha vinto? Chi ha perso?” mi chiede un amico, dopo la riunione dei capi di stato (ce n’è uno solo: Emanuel Macron!) e di governo.

È difficile dirlo. In teleconferenza (altra sventura nella sventura che raffredda i rapporti umani, non vivacizza il dibattito e non permette di trovare un compromesso, tra un caffè e l’altro preso alla “caffeteria” di palazzo Lipsius Magnus, sede del Consiglio Europeo!) sembrerebbe -uso il condizionale perché un comunicato ufficiale non c’è stato- che i 27 abbiano approvato un pacchetto di aiuti da 540 miliardi tramite la BEI, il SURE e il MES – operativi dal 1 giugno – e dato mandato alla Commissione Europea di creare un “recovery fund” (che, tradotto dall’inglese, anche dopo la Brexit, significa sempre “recupero del credito!”), un nuovo fondo per contrastare la grave crisi dovuta al Covid 19.

Ma andiamo con ordine anche per aiutare coloro che criticano con slogans e con ragionamenti errati le decisioni prese sui mezzi mediatici, con la speranza di farci capire.

È certo, ormai, che la B.E.I. (Banca Europea degli Investimenti, che non è un’istituzione europea e non va confusa con la BCE, ma è una vera e propria banca, con sede a Lussemburgo) metterà a disposizione dei paesi 200 miliardi. È certo che il SURE (sicuro), altro strumento creato dal commissario Gentiloni, metterà a disposizione 100 miliardi per salvaguardare l’occupazione nei Paesi più colpiti dalla pandemia. In Italia, questo strumento affiancherà la cassa integrazione. E veniamo al M.E.S. (Meccanismo Europeo di Stabilità) che è stato all’origine di tante vivaci diatribe all’interno del governo e tra maggioranza e opposizione, diatribe per lo più d’ordine ideologico usate come armi di ripicca o per vendere fumo agli elettori.

Il MES ha una storia che rimonta al 2012. Esso fu creato per dare sostegno ai vari paesi in crisi. Lo usarono Spagna, Cipro e Grecia. Anche l’Italia aderì a questo meccanismo con una quota-parte di 14 miliardi. Il MES metterà a disposizione 240 miliardi. Il nostro governo ha abbandonato la “linea dura” degli “eurobond” e ha accettato di ricorrere al MES poiché sono state garantite le non condizionalità sulle spese sanitarie.

Poiché 540 miliardi non basteranno, il Consiglio Europeo (cioè, gli esecutivi!) ha dato mandato alla Commissione Europea (cioè all’Europa) di predisporre il “recovey fund”, che sostituirà gli “eurobond” (o “coronabond”) tanto agognati dal nostro governo. La proposta è venuta dallo spagnolo Sanchez e questo fondo dovrebbe essere finanziato attraverso un debito perpetuo dei paesi dell’UE. La commissione, prima di sottoporre nuovamente al Consiglio Europeo le sue decisioni, dovrà districare non poche matasse ingarbugliate a causa delle posizioni divergenti assunte dai governi: chi emetterà i titoli del debito-prestito? Chi garantirà questi titoli? L’Europa o gli stati membri? A quanto ammonteranno in totale? La Commissione potrà agire nel pieno rispetto del Trattato di Lisbona (art. 136).

Sappiamo quali sono le posizioni in seno al Consiglio Europeo: i paesi del sud chiedono agli stati membri di accollarsi un debito a lunghissima scadenza (cioè, perenne) e di pagare gli interessi sui debiti attraverso tasse “europee”: si è fatta la proposta di aumentare il contributo dall’1 al 2% del PIL nazionale; i paesi della “nuova lega anseatica” (Paesi Bassi, Danimarca e Svezia) più l’Austria chiedono che il debito comune sia emesso, invece, da un organismo europeo. Questa posizione non è nuova: questi ultimi paesi si oppongono ad una forma di autentica integrazione europea (ricordo che i Paesi Bassi bocciarono nel 2005 con un referendum la Costituzione Europea!), non vogliono sentire parlare, perciò, di “debito comune”, sono perplessi nel cedere sovranità, la loro cultura calvinista, secondo la quale il debito è peccato, li porta ad usare il massimo rigore nei conti pubblici, sono contro l’aiuto comunitario per fronteggiare il fenomeno migratorio…

Fin qui i fatti. Ora le mie riflessioni. Tutti i massimi esponenti dell’UE hanno dimostrato di comprendere l’urgenza di ritrovare lo spirito di solidarietà per sostenere la ripresa economica e sociale dei paesi più colpiti dalla pandemia. Da Charles Michel (“Il progetto europeo è forte e ha un obiettivo comune, fatto di più convergenza, più coesione e più solidarietà”) a Davide Sassoli (“La profondità della crisi impone un vero progetto di ricostruzione, un piano Marshall”) a Von der Leyen che davanti al Parlamento Europeo ha chiesto scusa per una sua espressione maldisposta nei riguardi del nostro Paese.

La cancelliera Merkel ha fatto da tessitrice fra i paesi del sud e quelli del nord dimostrando di essere la vera erede di Kohl, di essere dotata di vero spirito europeo e coraggiosa al punto tale da mettere a rischio la sua maggioranza divisa tra l’ala intransigente bavarese e quella moderata della CDU.

Potremmo essere fiduciosi in un buon risultato del prossimo Consiglio Europeo se noi italiani dimostrassimo di essere coesi all’interno del governo e del Parlamento (quanto potremmo riprendere a sperare se la nostra opposizione facesse sue le nobili parole del capo della minoranza portoghese!) e soprattutto se anche noi esprimessimo con i fatti la nostra solidarietà rinunciando a tutto ciò che è superfluo, allo sperpero delle spese), a portare avanti le riforme strutturali, a rinunciare tutti a un po’ di ciò che godiamo per darlo a chi ha meno. Un amico tedesco, telefonandomi per sapere il mio stato di salute, al termine della conversazione mi ha detto:” Non capisco come l’Italia, che ha il 92% di cittadini proprietari di casa ed un altissimo risparmio privato, possa avere un debito pubblico altissimo e un rapporto deficit/PIL che salirà verso il 155%”.. Mi sono limitato a rispondergli con la prima frase fatta che mi è venuta spontanea: “Ma adesso non sarà più come prima!”.

Più tardi, prima di addormentarmi, ho ripensato all’espressione pronunciata dal ministro degli esteri britannico all’ambasciatore austriaco che gli consegnava più di cento anni fa l’ultimatum contro la Serbia: “Le luci si stanno spegnendo sull’Europa e finché vivremo non le vedremo brillare mai più”.

Grazie a Dio non fu così: gli stati nazionali si risollevarono attraversando due immani tragedie. Dopo la seconda guerra mondiale, riuscimmo a costruire l’Europa. Vi siamo giunti tappe come per tappe siamo arrivati al disordine e alle incertezze d’oggi. Se non vogliamo ritornare ai tempi delle tragedie che abbiamo ricordato il 25 aprile dobbiamo ravvivare una delle costanti dello spirito europeo: la volontà di riunire in una sintesi, continuamente rinnovata, le diversità di pensiero e di azione.

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