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Società

PROFETI

EDOARDO ZIN - 26/11/2021

Giorgio Lapira

Giorgio Lapira

“Non c’è più il grande ateismo, non c’è più la grande profezia” lascia detto ad un’intervista Gianfranco Ravasi, cardinale di Santa Romana Chiesa.

Lo penso anch’io: l’ateismo di un tempo – “lo scheletro dentro l’armadio del marxismo” (Giorgio La Pira) – intriso di persecuzioni religiose, di anticlericalismo, d’intolleranza – si è trasformato. Ci sono atei che vanno alla ricerca di qualcosa che li superi: alcuni colmano la loro sete di verità leggendo la Parola, altri si dedicano sinceramente e con spirito generoso ad aiutare chi soffre nel volontariato, nelle ONG, nell’assistenza agli uomini e donne che vivono ai margini. Non credono in Dio, ma credono nell’uomo. Uno scrittore tedesco marxista, E. Bloch, ha lasciato scritto: “[durante il nazismo] l’uomo ha perso il suo volto umano. Sia l’eroe ammansito sia l’eroe selvaggio hanno finito per diventare la bestia con la bava umana. [Oggi] non è solo l’uomo mite a scomparire; scompare tutto quanto reca il nome di essere umano”.

Con la scomparsa dell’ateismo violento, assistiamo oggi alla all’ostentazione del male, della cattiveria, dell’odio, alla derisione del “buonismo”. Nei fatti della vita quotidiana ecco la disumanizzazione dell’uomo che viene trattenuto nelle notti gelide all’addiaccio, nei boschi al confine tra Bielorussia, che gioca sulle vite della povera gente per ottenere l’azzeramento delle sanzioni da parte dell’UE, e Polonia, che cancella i diritti umani in nome della difesa delle radici cristiane e delle proprie frontiere. Ormai siamo indifferenti davanti alle tragedie che si compiono quotidianamente nel Mediterraneo. Assistiamo impietriti di fronte al televisore che ci porta in casa le notizie di padri che uccidono i figli, di compagni che uccidono la compagna, alla violenza dei giovani che bullizzano i loro coetanei.

Assistiamo alla violenza verbale di coloro che istigano all’odio, senza calcolare che la parola è già essa un’azione, alla cattiveria che emerge anche nella conversazione in famiglia, all’odio sui social che conducono alla contrarietà, all’avversione, all’insofferenza, agli insulti, alle evidenti menzogne, alle urla e al chiasso dei dibattiti televisivi, dove si semplifica con rozze banalità fatti complessi e che fanno dire all’uomo della strada: “È uno di noi”. Soprattutto preoccupa il declino del pensiero critico che sgorga dal silenzio della riflessione, dalla ponderata ricerca.

Non meno grave è lo sfruttamento di emozioni da parte di certi politici irresponsabili che usano la loro posizione di potere e di visibilità per diffondere l’odio verso chi non la pensa come loro o dell’economia che fa l’apoteosi dei suoi schemi come unico criterio di giudizio per difendere i suoi interessi.

Mentre l’ateismo muta in disumanizzazione, nel mondo vengono meno i profeti, cioè coloro che con la parola e la loro vita proclamano – come Giovanni Battista nel deserto – la Verità, sono solidi nella loro coerenza, fermi nell’attesa, che può scoraggiare anche gli uomini più forti, ma non i cristiani i quali non si lasciano modificare dalla contrarietà, fanno sprizzare speranza e con la loro voce incidono nei cuori sogni da realizzare. I potenti sono scontenti di loro.

La profezia viene meno, ma non scompare. Con parole chiare, mite nel tono, semplice nell’argomentare, il nostro Arcivescovo ne ha dato prova anche domenica scorsa, come pure nella prima domenica di Avvento, durante la sua omelia in Duomo. Ha invitato i “figli della luce” ad abitare nella città e di prendersene cura, a praticare la “politica della speranza”. L’hanno accusato di “fare politica”, come se occuparsi di politica volesse dire non occuparsi della vita.

La luce verrà. Nel frattempo siamo invitati a riempire i burroni, ad abbassare i monti, a raddrizzare le strade, a rendere fertili i cuori. In mezzo alla disumanizzazione, i cristiani, che in forza del battesimo sono diventati “profeti”, cioè messaggeri di speranza, devono riformare il mondo dal “di dentro”, preparare il futuro perché “l’avvenire è nelle mani di coloro che avranno saputo donare alle generazioni di domani ragioni per vivere e per sperare” (Gaudium et Spes). Anche con la politica, come hanno fatto i padri fondatori dell’Europa e il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, che voleva unire i popoli del Mediterraneo.

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