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Chiesa

NON CEDE

EDOARDO ZIN - 25/06/2021

papa“La Chiesa brucia” dice Andrea Riccardi. Settanta anni fa Emanuel Mounier titolava un suo libro “L’agonia del cristianesimo”. Poco prima del Concilio, “il microfono di Dio”, padre Riccardo Lombardi, strenuo difensore dei valori cristiani all’epoca di Pio XII, pubblicò “Concilio: per una riforma nella carità” che ricevette una spietata recensione da parte dell’”Osservatore Romano”. Durante il Concilio nacquero dissidi profondi tra l’ala conservatrice, quella moderata e quella progressista. A Concilio chiuso, il risoluto nocchiero Paolo VI diresse la barca di Pietro in direzioni sicure, in mezzo alle burrasche del catechismo olandese, del convegno dei preti a Coira, alle contestazioni dei “gruppi di base”, alla teologia della liberazione.

Venne poi Giovanni Paolo II che invitò gli uomini a “spalancare le porte a Cristo”, a promuovere i movimenti visti come àncora di salvezza, a riempire gli stadi di giovani, a velare certi scandali finanziari e a offuscare atti di pedofilia, a nominare cardinali, vescovi e nunzi non in base alla loro integerrima fede, ma alla loro appartenenza a questo o a quel movimento. Nel frattempo, i veleni della corruzione, della dissoluzione morale, dell’auto-compiacimento erodevano come un fiume carsico le fondamenta della Chiesa. Benedetto XVI si sentì incapace, lui profondo teologo, a rinnovare la Chiesa e si dimise dalla cattedra di Pietro.

E venne papa Francesco. Subito tre fatti colpirono cristiani e laici: scelse il nome del poverello d’Assisi per precisare che il Vangelo è per tutti, ma soprattutto per i poveri; rifiutò di indossare la stola portagli dal cerimoniere per indicare che lui, Francesco, si presentava come un servo e non come un sacerdote; terza mossa: prima di impartire la sua benedizione chiede al popolo santo di Dio, presente in piazza, d’invocare la benedizione di Dio su di lui, successore di Pietro. Tre gesti che indicano la scelta preferenziale per i poveri, quella di combattere il clericalismo e l’altra di camminare assieme a tutto il popolo. Tre gesti che designano un cristianesimo più spirituale che morale, un senso della Chiesa basato sull’accettazione della storia. Non invita i battezzati ad aprire le porte a Cristo, ma spalanca la porta della Chiesa agli “scartati delle periferie esistenziali”.

La scelta preferenziale per i poveri non è politica, ma ragione sufficiente per rifiutare certe politiche e per stabilire certi principi che devono regolare la vita sociale. Il criterio del cristianesimo non è in alcun modo né “di destra” né “di sinistra”. Papa Francesco non cede di un millimetro in materia di fede. Invita i cristiani a servire i disperati di questa terra perché il primo dovere di ogni uomo è quello di non disperare di un altro uomo e di non ridurre mai un altro uomo alla disperazione. Francesco combatte di più gli integristi che i progressisti: l’integrista che vuole porre rimedio allo scandalo di una Chiesa senza dottrina e non si preoccupa di porre rimedio ad una vita senza carità, colui che afferma di possedere la verità nella sua interezza e detesta di imparare dal mondo anche se in esso Dio è presente, ma Francesco non dimentica nel contempo di bacchettare chi preferisce di aver fiducia, o meglio aver speranza, solo nell’uomo, mentre è la santità di tutti i giorni la sola politica valida. Con i suoi inviti alla preghiera, con le sue riflessioni sulla Parola di Dio, papa Francesco sa che la sofferenza di un uomo solo o di un intero popolo può scuotere l’umanità del mondo inerte ed indifferente d’oggi con maggiore efficacia di tante riforme.

Papa Francesco non ha mai smesso di combattere il clericalismo, cioè il potere degli uomini di Chiesa che si manifesta anche nella pedofilia e nella corruzione. Contro questa “malattia”, Papa Francesco invitò nel 2014 i vescovi italiani ad avere una “sensibilità ecclesiale” che comporta a “non essere timidi o irrilevanti” contro la corruzione pubblica e privata, di tradurre in proposte concrete e comprensibili gli aspetti teorici – dottrinali esposti nei complessi documenti pastorali, di “rinforzare” l’indispensabile ruolo dei laici. Ultimamente, il Papa ha messo in guardia i pastori contro la “rigidità”, cioè quell’atteggiamento che mira a guardare indietro, ai “giorni dell’onnipotenza”, piuttosto ad orientarsi verso il futuro, a vivere il “cambiamento d’epoca” con speranza, a continuare la storia sacra che è guidata dal Verbo incarnato.

Per combattere questi due mali, Papa Francesco ha chiesto a tutta la Chiesa di “camminare assieme”, di essere sinodale.

“Sinodo” è una parola che risale all’epoca del cristianesimo nascente, ma che è stata rivalutata dal Concilio. Non indica un’istituzione burocratica per ammodernare il governo della Chiesa. Durante il dibattito conciliare e gli sviluppi post-conciliari “sinodo” ha indicato lo spirito di responsabilità comune di cui è investito tutto il popolo di Dio, la coscienza che la Chiesa non è una piramide di poteri ma una comunione di valori, di vita, di decisioni: è un “camminare assieme” con vescovi e fedeli, presbiteri e diaconi, consacrati e laici. E questo è uno spirito permanente che deve animare la Chiesa.

Il prossimo ottobre si aprirà il sinodo dei vescovi di tutto il mondo che saranno chiamati a “costruire una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Il “cammino sinodale” si svolgerà successivamente in tre fasi: diocesana, continentale, universale. Nella Chiesa italiana si coniugheranno i contenuti della ”Evangelii gaudium” con quelli del discorso che Papa Francesco tenne a Firenze all’ultima assemblea ecclesiale. Il cammino sinodale della Chiesa ambrosiana si svolgerà in tre tappe: nel 2022 si ascolteranno tutte le istanze del popolo di Dio, nel 2023 le riflessioni raccolte saranno oggetto di dialogo e di confronto e nel 2024 si farà una sintesi delle decisioni che dovranno essere applicate in tutta la diocesi. L’assemblea sinodale diocesana rifletterà su come la nostra Chiesa potrà essere missionaria nella quotidianità.

Il “cammino sinodale” passa attraverso le contraddizioni, le angosce, le crisi della società e della chiesa. Saremo chiamati a ripensare insieme, comunitariamente, il senso della presenza del popolo santo di Dio missionario e pellegrino nella nostra terra. L’apatia, la rassegnazione, le mormorazioni potranno essere sconfitte dalla franchezza con cui ognuno si esprimerà, dalla mitezza con cui ci si confronterà e dall’umiltà con cui si accetteranno le decisioni. Un’occasione da non perdere.

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